La mia quarta maratona di New York

New York, tutto bellissimo come sempre. La prima fila, una leggera pioggia, il primo fresco del mattino, pronti per lo start. Sparo e, si parte. Pochi metri e vengo spinto involontariamente da uno dei tanti runner che nel passarmi mi urta con una certa forza, perdo l’equilibrio e sbatto col piede destro a un marciapiede prendendo una bella botta. Il dolore è allucinante e devo dirvi che è difficile prendere decisioni in questi momenti. Fermarsi o continuare? La mia testa mi diceva di andare avanti, inutile piangersi addosso. Nello stesso momento in cui stavo cercando di riflettere, un ragazzo spagnolo conosciuto poco prima (Marcos Granda in foto di copertina n. 3475) si accosta e mi chiede come sto, e cercando di farsi capire mi dice di continuare piano perché magari non ho nulla e il dolore passa. Mi sono detto, vediamo, magari ce la faccio e forse non mi sono fatto così male come sento. Nulla di tutto questo. Il dolore si acutizzava a ogni passo, ho visto un santo ogni volta che appoggiavo il piede per terra. Fino al 20° chilometro ho cercato con tutto me stesso di tenere i tempi prefissati, poi ho capito che sarebbe stata ancora più dura tra percorso, fatica, pioggia, stanchezza e senza un piede. La disperazione prende il sopravvento. Ho iniziato a piangere e non mi vergogno a dirlo. Paradossalmente nei tratti in discesa, seppur aiutato dall’inclinazione, ho dovuto camminare per il forte dolore. Ho continuato a correre col pensiero rivolto a chi mi seguiva, amici, parenti, sconosciuti e poi a quel #ForgeYourSuccess che portiamo avanti con chi ha voluto fortemente la mia presenza a questa maratona, la maison d’arte orafa Gerardo Sacco. Non potevo e non dovevo fermarmi, andare avanti a ogni costo tra mille problemi da risolvere e emergenza da tamponare a ogni metro fatto nel raggiungere il traguardo dei 42 chilometri e 195 metri che mi separano dal tragurado. Lo faccio per mille ragioni personali che non spiego e tengo private nel mio cuore. Lo faccio perché ho uno spirito competitivo. Perché Amo correre. Perché forse soffrire mi rende un pochino più vivo, ripensando anche alle parole del mio amico Corrado Mazzetti (quello che non ti uccide può renderti più forte) (Un racconto in una sua intervista). Perché mi piace vedere la corsa di queste migliaia di persone che mi circondano, che inseguono quel tanto ambito traguardo, tutti con una storia personale nella mente e nel cuore. Perché ho fatto delle promesse. Perché mi sono allenato tanto, dedicando impegno e sacrificio alla mia preparazione. Sono mille i perché mi hanno dato la forza di proseguire, sopratutto la passione, che è stata fondamentale per aggredire l’asfalto sotto i miei piedi, la stessa passione che condivido con lo straordinario gruppo del quale faccio orgogliosamente parte, gli ASICS FrontRunnerItaly. In molti criticheranno questa mia scelta, ma posso garantirvi che in pochi secondi non è facile fare delle scelte. E se ho preso questa decisione, vi chiedo di rispettarla, perché giudicare dal di fuori è davvero facile e riduttivo, perché nelle situazioni bisogna davvero trovarsi. Nella vita puoi andare avanti solo se fissi e focalizzi i tuoi obiettivi, guardando oltre, oltre il dolore e il sacrificio, cercando di raggiungere come meglio puoi il tuo traguardo, pur se a volte ne esci sconfitto. Dal 30° chilometro in poi ho corso all’inferno, ho rimesso due volte, al trentacinquesimo chilometro e al quarantunesimo chilometro, dove mi sono fermato implorando pietà, non volevo più ripartire. Il pubblico come al solito qui, è davvero stupefacente e incredibile, con una sola parola è capace di farti sentire il più forte di tutti, il guerriero invincibile che hai sempre voluto essere. Con le poche forze rimaste mi sono ritrovato a pochi metri dalla finish line dei 195 metri. Ho iniziato a urlare, per disperazione, gioia, felicità, ma soprattutto per il dolore che adesso sento più che mai così forte che, credo tutti hanno capito che qualcosa non va e sulla line del traguardo sono stato raggiunto da infermeri e medici. Alla fine ho concluso la mia quarta maratona di New York in 3h 07′.

Una volta con i sanitari, ho avuto un momento di follia e sono anche scappato a fare due foto, tra pianti e dolore, tornato in me, sentendomi svenire mi sono abbandonato alle cure mediche. Il piede non usciva dalla scarpa e con dispiacere ho visto il dottore tagliare la mia scarpa destra ASICS Gel-Nimbus19 che ha svolto un ruolo fondamentale in questa complicata avventura, proteggendo al meglio il mio piede, avessi avuto scarpe meno protettive probabilmente non avrei concluso la gara. La diagnosi a vista del medico è stata: fractur, crash… “you have to go to the hospital”

Ho rifiutato il trasporto in ospedale per una serie attenta di motivazioni e a quelle parole sono crollato in un pianto ancora più acuto e singhiozzate, perché ho capito che avevo corso su qualcosa di serio, che dentro di me avevo capito appena schiantato il piede a quel angolo di muretto, ma che non volevo ammettere a me stesso, se non quando ho udito le sue parole. Dopo le prime cure, ho dovuto togliere anche la scarpa sinistra e pian piano scalzo e a piedi nudi, con una improbabile ma forte fasciatura e ghiaccio sull’arto sono rientrato in hotel, che per fortuna distava poche centinaia di metri. Ho trascorso un giorno intero sdraiato a letto, nell’attesa del rientro in italia,che è stato molto complicato vista la situazione. Una volta a casa mi sono recato in ospedale dove mi è stata riscontata la frattura del quinto metatarso, con una prognosi di sessanta giorni più riabilitazione, insomma stop forzato e per parecchio tempo niente corsa.

TCS New York City Marathon 2017-Risultati

Non mi sento un eroe, ho solo fatto quello che mi piace fare, correre con i suoi pro e con i suoi contro, tra fatica, dolore, passione e amore per lo sport. A New York non ci si ritira, neppure se a correre ti funziona solo un piede.