La mia seconda New York

 

L’idea di tornare nella city dopo quattro anni mi elettrizza, anche perché dopo il flop del 2012 con l’annullamento della maratona causato dall’uragano Sandy, mi è rimasto parecchio amaro in bocca, ecco perché negli ultimi anni mi sono dedicato e concentrato su maratone più vicine come: Torino, Berlino, Roma, Milano e Valencia per citarne alcune.

Quest’anno la trasferta avrà anche un sapore particolare perché con me verranno due amici, Silvia e Alfredo che recentemente hanno coronato il loro sogno d’amore convolando a nozze. Anche la coppia sta vivendo con entusiasmo tutti i momenti che precedono il viaggio, dall’organizzazione dello stesso, alle cose da fare una volta a New York, ben sapendo che possono contare sulla mia precedente esperienza, infatti gli ho spiegato che una volta lì per visitare il più possibile la città, bisogna organizzarsi, che il tempo è prezioso e bisogna muoversi rapidamente, con l’aggravante di stancarsi parecchio, specialmente per me e Alfredo che dovremo correre la maratona.

Quest’anno la parola d’ordine per me sarà divertirsi e fare con più calma tutto quello che non ho fatto in passato, godermi la città, la festa di Halloween e quella sul battello in notturna già prenotata, il resto lo scopriremo strada facendo. New York ha un fascino particolare. E’ una maratona che ti strega e ti rapisce testa e anima. A mio modo di vedere è organizzata ai massimi livelli, ma questo non basta per dire di volerla solo correre, ci vogliono passione, sacrificio e tante motivazioni per arrivare fino in fondo e per in fondo non parlo solo della gara, ma di tutto un percorso che per me inizia con l’arrivo dell’estate, quando comincia la preparazione atletica, devi fare delle rinunce come ad esempio il mare, amicizie, uscite e tempo personale da dedicare solo ed esclusivamente alla corsa e agli allenamenti ben programmati.

Allenamenti al mattino presto per evitare il caldo della sera. Allenamenti estenuanti che ti debilitato fisicamente e se ogni tanto non vanno per il verso giusto ti demoralizzi pensando di non farcela. Devi sperare che tutto vada per il meglio e non abbatterti mai, specialmente quando alcune di queste uscite non vanno come vorresti. Devi mangiar bene, rinforzare l’organismo, dormire e riposare quanto più possibile, insomma ti devi prenderti cura di te stesso al 101%. Il tutto al fine di far bene quel giorno, ben sapendo che questo impegno non è sempre certezza di arrivare a quel tanto desiderato e sognato traguardo.

Correre a New York significa accrescere la propria autostima ma anche perdere molte energie mentali. In molti pensano sia una passeggiata, parti, vai li, ti diverti e poi corri. Non è così, il viaggio è lungo, ti devi ambientare col clima e col cibo, con la city e i suoi ritmi frenetici e fare di tutto per non ammalarti. Quest’anno per cambiare zona ho voluto scegliere un albergo a Brooklyn, e devo dire che la scelta è stata ottima, intanto perché ho potuto visitare meglio il quartiere e poi per poter imparare a utilizzare meglio le varie linee della metropolitana. L’unica pecca per chi è venuto qui per la prima volta, sarà il fatto di non potersi allenare tutte le mattine a Central Park e dover ripiegare su Prospect Park, un bel parco che somiglia a quello più conosciuto e famoso di Manhattan.

Avendo optato per questa zona di New York, so anche che durante il passaggio del 12 km circa della maratona, saremmo passati proprio sotto al nostro albergo, ben sapendo di avere una tifosa d’eccezione come Silvia, che ci avrebbe dato, a me e Alfredo una marcia in più per affrontare meglio il resto della gara.

La settimana è volata via girando in lungo e in largo, camminando ogni giorno con medie di circa 30 chilometri giornalieri, stanchezza ma anche tanto divertimento. Il giorno della gara siamo usciti dalla stanza alle 5:00 am. Dopo 4/5 fermate di metro eravamo a Battery Park dove abbiamo incontrato Francesco e Andrea che ci attendevano ansiosi. Sul battello ho avuto il piacere di incontrate anche Carmine, l’altro nostro concittadino venuto un pochino allo sbaraglio a disputare la famosa maratona di New York, ma ci sta, perché bisogna essere un po’ folli per affrontare questo evento. A lui ho dedicato un po’ di tempo istruendolo sul da farsi una volta giunti sul luogo di partenza.

La mattinata è abbastanza tranquilla, il clima è ottimo, forse fa anche un po’ più caldo del 2011, niente vento, no freddo e quindi decido di correre senza guanti. Sia io che Alfredo e Francesco siamo nel cancello A della prima Wave (partenza), quando si aprono i cancelli, ci troviamo magicamente avanti in prima linea a dare una mano al corpo dei marines che hanno il compito di far avanzare tutti lentamente, nella confusione vedo una ragazza bionda vicino a me, si chiama Paola, Paola Mariotti, italiana, la trascino e le dico di starmi incollato perché solo così ha la possibilità di partire dalla start line.

Una volta giunti sulla linea di partenza, ci godiamo i moneti che precedono lo sparo. Momenti che io avevo già vissuto durante la mia precedente esperienza, dove mi sono ritrovato da solo, senza amici, che questa volta ho con me e sono pure più del previsto. Il momento è solenne, inno americano, mano sul cuore e silenzio assoluto, tranne qualcuno che piange e si commuove, perché questo resta sempre un momento unico e certamente indimenticabile. Suona la canzone New York New York, e Alfredo fa in tempo a dirmi: “ma quando partiamo?”
– non fa in tempo a finire tutta la frase che io gli rispondo al volo: Adessooo!!!

Pronti a partire?
Booom!!!

Lo sparo è davvero improvviso, credevo di essere pronto a quel tipo di emozione, invece è davvero incredibile come avvengono rapidamente le cose, partito in prima fila, sono primo assoluto, alla maratona di New York per circa 800 incredibili e bellissimi metri, sono anticipato solo dalle quattro moto della polizia e una macchina sempre del NYPD.

Da dietro sento una voce che mi grida: “Vai Carvelli”, la riconosco, è quella dell’amico Francesco. Mi affaccio dal ponte e saluto gli altri migliaia di runners che attendono il loro turno di partenza, scoppia un boato, è-tutto-sempre-magnificamente-fantastico. Passato il ponte Giovanni da Verrazzano, iniziano a formarsi i gruppi, io corro con un ragazzo italiano che vive lì, intorno al nono chilometro mi accorgo che va più veloce del previsto e gli dico che preferisco rallentare un po’. Verso il 12 km mi sento chiamare, la voce arriva dall’altra parte della strada, riconosco Silvia che mi urla: “vai Antonio, vai Denny”, la saluto mandandole un bacio al volo con la mano. Memore del percorso, mi sento sicuro e deciso, miro il passaggio alla mezza maratona e mi rendo conto che al momento le cose vanno per il verso giusto.

Durante la preparazione ho avuto un bel problema all’anca e so di non essere al 100% e il pensiero mi fa avere quella paura che ti tiene a freno. Corro leggermente contratto con il forte dubbio se provare a osare. Pochi chilometri dopo la mezza sono pronto ad affrontare il famoso mostro, il Queensborobridge. Mi rendo conto che rispetto al 2011 ho avuto più difficoltà, comunque è andata, superato anche questo scoglio che si fa sentire nelle gambe e di certo si accusa il colpo a livello psicologico. Mi godo il tripudio della discesa nella 1th avenue, che resta lo spettacolo nello spettacolo. Sto in un piccolo gruppo di otto persone e corro a sinistra della strada, due avanti a me si urtano e c’è una bruttissima caduta che per poco non mi coinvolge.

Credo che qualcuno si sia fatto male, ma meglio non pensarci, guardo avanti e mi dico che devo arrivare in fondo a quel lungo e duro rettilineo, fatto pieno di sali-scendi. Arriverò nel Bronx e poi inizierò a capire se è il caso di iniziare davvero a correre, mi sento energico. Sono nel Bronx, attraverso il ponte e da lì mi sposto ad Harlem.

Il passaggio in entrambi i quartieri è breve e veloce, Mi ritrovo nella 5th avenue, mi affianco a qualcuno che credo di conoscere, infatti è Barbugian Renzo che conosco solo tramite Facebook, facciamo qualche chilometro insieme, ma lo vedo affaticato, così piego la testa e inizio a pensare che sta per arrivare in assoluto uno dei tratti più difficili e duri della corsa, Central Park.

Dopo la lunga salita che costeggia la quinta strada entro dentro nel polmone verde di Manhattan, mi accorgo che le gambe rispondono bene e mi do parecchio da fare. Niente crampi come nel 2011. Prendo fiducia e riesco a guardarmi intorno con lucidità mentre mi dico: ”è la volta buona”. Non guardo i tempi per scaramanzia perché so che sto andando più veloce della mia prima volta.

L’arrivo a Columbus Circle mi fa tremare e rabbrividire di gioia, sto per farcela di nuovo. Gli ottocento metri all’arrivo sono quanto di più bello si possa desiderare e immaginare per chi pratica questo sport. Il pubblico che incita in ogni modo, con trombette, tamburi, urla, ti chiama, ti sorride e ti da il famoso cinque.

Sono così lucido che sotto a un grande albero riconosco un volto famigliare, l’amico Pino Talarico che attende il passaggio del fratello Carmine (mi chiedo anch’io come starà andando la sua prima e unica maratona). Ha il tempo di dirmi :”vai Denny”. Io ricambio con un: ”Ciao Pinooo”.

Il mio arrivo visto da chi mi segue dal Web
Duecento metri. Vedo l’arrivo, che è cambiato rispetto al 2011, prima si chiamava ING New York City Marathon, ora è TCS New York City Marathon. Cambiano i colori sul traguardo, ma non l’emozione. Faccio gesti al pubblico di incitare gli atleti e metto le mani alle orecchie facendo finta di non sentirli, un po’ alla Luca Tony per intenderci. Sto bene, sono felice, il cuore è come sempre in gola, rallento anche stavolta e passo la linea dei 42 chilometri e 195 metri.

Mi ci fermo sopra e improvviso un balletto, tanto da far arrabbiare gli organizzatori e i giudici di gara che vengono prontamente a rimproverarmi. La felicità è alle stelle e lo è ancora di più quando vedo il crono fermo a 2h55’.

Migliori di oltre 2’ rispetto alla mia prima New York City Marathon e qui due minuti sono un’eternità (provare per credere). Sgombro la zona arrivo e sento un forte bruciore all’interno cosce, dalla gioia e stato di semi incoscienza non mi sono accorto che perdo sangue perché fortemente irritato dai pantaloncini, così sono costretto a ricorrere ai sanitari che hanno una prontezza e professionalità invidiabile.

Medaglia Finischer 2015
Mi mettono sulle spalle la coperta termica, mi faccio infilare al collo la tanto sospirata medaglia e vado a fare le foto di rito sempre col sorriso, perché indipendentemente da come va la corsa, qui non puoi che essere felice.

Finito
Questa volta sorrido e non piango. Ho dato davvero il meglio di me stesso. Ho dato l’anima, il cuore, la testa e sono contento. Mi dirigo alla zona “Family reunion” anche se non ho nessuno ad aspettarmi, la supero, mi faccio mettere sulle spalle il famoso poncho, che è un mantello come quello che usano i famosi sceriffi americani nei film quando sono sotto la pioggia.
E’ caldo e avvolgente, inizio a sentire la stanchezza, tiro fuori dal sacchetto datomi alla finisch-line una mela e la mangio. Mi dirigo in albergo curioso di sapere come sarà andata la maratona di Alfredo e Francesco, ma soprattutto mi chiedo: “come faccio a non esserci il prossimo anno (2016) ?”

Fatta col cuore, perché New York è sempre New York.

To be continued…