Ci sono cascato ancora.
Alla fine della maratona dello scorso anno, esattamente il primo novembre 2015, sotto la linea del traguardo della Tcs New York City Marathon mi ero ripromesso che sarebbe stata l’ultima volta, o che comunque avrei fatto ancora questi 42 km e 195 metri tra almeno una decina di anni. Oggi sono cosciente di aver trasgredito alla mia stessa promessa.
Arrivati nella city domenica 30 ottobre dopo il solito lungo viaggio, che ti mette a dura prova, specialmente perché il nostro intento all’arrivo era correre a vedere la parata di Halloween nel Village. Ci siamo anche riusciti, ma eravamo davvero stanchi, così alle 22:30 circa siamo andati di filato in Hotel a dormire. La mattina seguente siamo stati a Central Park (splendida come sempre) per fare 10 km. Il freddo era pungente e intenso, tanto da farci rientrare in albergo con le mani penzolanti e ghiacciate.
Il giorno successivo la mia gola e il naso hanno iniziato a dare segnali di raffreddamento e dopo alcuni giorni ho iniziato ad avere un forte mal di gola, dolori al petto, naso chiuso, febbre e nello stesso tempo bisognava continuare a correre e allenarsi. Ho fatto di tutto per star meglio, ma tutti i corridori e sportivi sanno quanto la respirazione sia fondamentale per ossigenare i muscoli e in maratona se stai cosi, non vai certo molto lontano.
Certo di questo, domenica mattina avevo solo due possibilità, andar piano e cauto in attesa che gli eventi e l’influenza facessero i propri effetti, oppure partire a tutto fuoco, senza stare a pensarci, senza timore, paure, ma solo pensare alla linea del traguardo e cercare di raggiungerla il più velocemente possibile, ben sapendo che avrei potuto pagarla cara, molto cara, con uno stop improvviso e con un probabile ritiro. Ho comunque scelto quest’ultima soluzione. Mi sono buttato nella gara credendo fortemente in me, in quanto fatto dal primo giorno di allenamento, senza stare a pensarci troppo.
Sono partito in prima fila della start line come nell’edizione precedente, emozione che mi ha regalato una pubblicità incredibile con dei poster della mia immagine e quella di Alfredo in tutte le linee della metropolitana di NYC, foto che abbiamo ritrovato in maniera gigante anche all’expo del JACOB JAVITS CONVENTION CENTER dove si ritirano i pettorali.
Dopo il momento solenne dell’inno americano che precede lo sparo di cannone che da ufficialmente il via alla competizione (descritto nei precedenti blog relativi allo stesso evento), ho iniziato ad aggredire l’asfalto, che ricordo è in costante salita sul ponte Giovanni Da Verrazzano.
Poi giù per Brooklyn, passando al 21 km dal Pulaski bridge dove la fatica, la stanchezza e piedi di piombo si sono fatti sentire. Correre è diventato difficile. Ho percorso altri 4 km concentrato e a mente ancora lucida ho cercato di fissare degli obiettivi, fra questi, uno dei ponti più temuti, il Queensboro bridge, che collega il quartiere Queens a Manhattan.
Lo affronto e supero grazie anche all’amico Claudio Marzorati che mi ha raggiunto e fatto compagnia per un pochino, giusto il tempo di non pensare alla fatica, poi lui è volato via. L’uscita sulla prima strada resta sempre uno spettacolo nello spettacolo con tantissima gente che ti acclama e per qualche chilometro prendo di nuovo coraggio, ma al 27 km uno stop per fare pipì mi blocca qualche minuto, anche perché per la prima volta in vita mia corro con un piccolo marsupio sul fianco dove ho messo tutto l’occorrente per cercare di correre ai ripari in caso di stop dettato dall’influenza.
Altro stop al 36 km per forte tosse, ho dovuto piegarmi in due perché il vento e il freddo mi hanno messo letteralmente in ginocchio sull’asfalto e lasciato senza fiato. Avevo quasi deciso che la mia gara era finita lì, mi sono detto: “da qui non ti rialzi per te è finita la tua terza maratona di New York. Stavolta è la resa finale. Arrenditi all’evidenza.” Dopo il sano momento di follia, sono riuscito ad alzare lo sguardo e mi sono caricato nel vedere e sentire le migliaia di persone che mi invitavano a riprendere la corsa (dal resto sono sempre a New_York_City), gridano e mi urlano: “Italia Italia Italia. Forza Antonio, forza azzurri”.
Solo così ho trovato la forza e il coraggio di riprendere la corsa, passando dal Bronx ad Harlem forse anche senza troppe difficoltà, pur sapendo che da li a poco avrei dovuto affrontare la salita della quinta strada e i sali scendi di Central Park.
A sorpresa, per non farmi mancare nulla, mi ritrovo tra i piedi un grosso pallone blu, gli do istintivamente un calcio e lancio un urlo micidiale, era un pallone ortopedico pesantissimo e mi sono sfracellato l’alluce del piede destro con relativa unghia. Ho dovuto davvero stringere i denti e non chiedetemi cosa ci faceva lì un pallone ortopedico. Mi restano gli ultimi 5 km da fare e non sono certo i più semplici, ma i più complicati, in costante salita e con dei sali scendi continui, ci vuole determinazione e massima concentrazione, quella che al momento latita dalla mia testa.
Ogni piccolo errore può portarti a non finire la corsa e manca davvero poco, dopo tutta sta fatica mi dico :”Boia chi molla”. Memore delle mie esperienze passate in questa maratona e conoscendo il percorso abbastanza bene da poterlo fare a occhi chiusi, ho iniziato a prendere coraggio ripetendomi che dovevo farcela, che ero quasi arrivato, a fatica, ma c’ero di nuovo.
Dovevo farcela per me stesso e i sacrifici fatti, per chi mi seguiva da casa e dall’Italia, per la mia città Crotone, perché appartengo allo sport di una generazione storica.
Così è stato, pochi chilometri dopo, mi sono ritrovato a Columbus Circle e agli ultimi 800 metri da fare. Il cuore in quel momento palpita all’impazzata, tra un tripudio di folla e gente che urla chiamandoti per nome o gridando il nome della nazione di provenienza.
Ho tagliato ancora una volta quel traguardo. Credevo davvero di non farcela visto come mi sentivo e invece con mio gran stupore chiudo ancora sotto le tre ore, in 2h58’33”. La mia terza maratona di New York sotto il famoso muro delle tre ore.
Non ci potevo credere, incredibile, era da parecchio che non piangevo alla fine di una maratona e lì in quel momento l’ho fatto per scaricare stress, paure e tutto quello che avevo vissuto nel tempo impiegato per coprire il tracciato della maratona più famosa del mondo. Le lacrime più belle sono quelle della felicità per aver concluso con mille difficoltà una maratona tanto bella quanto aspra e difficoltosa. Sotto al traguardo prendo tempo e con orgoglio ho estratto dal fianco del pantaloncino la mia sciarpa del Crotone calcio.
Quest’anno per la prima volta nella storia disputa il campionato di massima serie, la serie A. La mostro a tutti esibendola con le mani in alto al cielo a dire: Io, Antonio Carvelli, ce l’ho fatta anche stavolta, non mi sono arreso, ho conquistato il traguardo e la città di New York.
La città di Crotone c’è perché siamo la storia dello sport più antico e io ho voluto dedicare questa maratona a questa città di Calabria che ha tanto bisogno di positività.
La dedico ai bambini di tutto il mondo, con le parole scritte sul mio profilo Facebook la mattina presto, prima di affrontare la gara: “Quest’anno la mia terza New York City Marathon voglio dedicarla ai bambini. Quelli che non sono in salute e non sanno cosa vuol dire giocare e rincorrersi. Quelli che vivono loro malgrado le guerre, i terremoti e molte catastrofi naturali. Quelli che vengono abbandonati, maltrattati, stuprati o nella peggiore delle ipotesi uccisi. Quelli non ascoltati, seguiti, e poco educati dalle famiglie. Ma più di tutto, a quelli che nasceranno OGGI, perché saranno il futuro del nostro domani. Anche se non al top della forma per via di un forte raffreddamento, a voi i miei 42 km e 195 metri della Tcs NYC Marathon 2016”. Concludo dicendo grazie a quanti hanno gioito e lottato con me seguendomi sull’applicazione, in tv o solo pensandomi per un attimo in queste mie quasi tre ore di corsa d’oltreoceano.
Un grazie particolare lo faccio a Giovambattista Audia, colui che mi guida e segue negli allenamenti, oltre a quanti mi incitano e invitano a non mollare mai nei momenti di difficoltà.
Grazie.
Alla fine la domanda è la stessa, che si fa per il 2017 ?